22 febbraio 2008: L’Europa che verrà

Intervista ad Anna Pramstrahler, socia fondatrice della Casa delle Donne per non subire violenza di Bologna, associazione femminista che si occupa di violenza sulle donne dal 1985 e da più di 15 anni lavora in concreto con donne vittime di violenza.

 

Stop alla violenza sulle donne

Il 2007 è stato inaugurato come l’Anno europeo delle pari opportunità per tutti. Si è parlato molto di parità tra i sessi ma anche di violenza sulle donne e della necessità di sensibilizzare la cittadinanza europea al problema. Che significa sensibilizzare?
Sensibilizzazione, prevenzione e politica rappresentano facce della stessa medaglia, sono molto connesse tra loro, interagiscono. Noi siamo un’associazione  impegnata in azioni che sono prima di tutto politiche e sociali ed è chiaro che sensibilizzare la cittadinanza al problema della violenza sulle donne significa prima di tutto manifestare un dissenso e insieme  a questo proporre delle alternative valide al comune modo di sentire. Significa uscire e aiutare i cittadini ad uscire dall’indifferenza verso situazioni che drammaticamente oggi stanno assumendo la forma della normalità. Gli enti pubblici, in questo senso, sono molto miopi e ci finanziano sostanzialmente in funzione del servizio che offriamo alle donne vittime di soprusi (case rifugio, assistenza medica, etc..) senza considerare l’utilità della opere di sensibilizzazione come strumento efficace per abbattere ogni forma di violenza sulle donne.

L’Anno europeo dedicato alle pari opportunità dimostra la sensibilità della Comunità alle questioni che vedono protagoniste le donne. Che ne pensa in generale delle politiche europee sulla questione della violenza sulle donne?
Per noi la politica europea sulla questione della violenza sulle donne è stata fondamentale. L’ Italia è uno dei pochi paesi membri dell’Unione Europea a non aver tenuto conto e dato voce alle Raccomandazioni europee. Sono state prodotte importantissime raccomandazioni nel 2002, le REC 5, e in quanto raccomandazione non rappresentano un obbligo per gli stati, forniscono delle indicazioni politiche su come dovrebbe muoversi ogni governo nazionale. Anche a livello mondiale esiste un comitato delle Nazioni Unite  la CEDAW che l’ anno scorso ha redatto un rapporto  nel quale viene criticato fortemente il governo italiano circa le inadempienze rispetto alle politiche sulla violenza e questo rapporto non è stato mai tradotto  ed è stata invece una donna di Bologna, Barbara Spinelli, a proporne una traduzione in italiano.
 
Che cosa è stato fatto in concreto a livello nazionale per promuovere le iniziative e i progetti europei?
Da anni insistiamo che il governo sia centrale che locale dovrebbe sostenere delle iniziative seguendo le linee di condotta europee, ma l’unica cosa che è stata realizzata riguarda i progetti Daphne. Si è aderito a tali progetti perché questi sono finanziati direttamente dall’Unione Europea e i governi locali quindi sono esonerati da qualsiasi intervento economico  per cui sono progetti che anche in Italia sono stati attuati con molte difficoltà e quasi tutti i centri antiviolenza hanno aderito a tali progetti. I progetti Daphne sono molto importanti perché fanno esplicitamente riferimento alla  violenza sulle donne anche se ultimamente il focus si sta spostando verso la questione della violenza infantile che per  noi è ugualmente  importante.
 
In qualità di associazione che si occupa di donne come vi collocate e come vi rapportate con le iniziative e i progetti di respiro internazionale?
Abbiamo partecipato a molti dei progetti Daphne come partner. Questi progetti infatti hanno una dimensione transnazionale e, quindi, lavoriamo sempre in collaborazione e parallelamente ad altri paesi europei e questo rappresenta per noi uno stimolo molto grosso per capire che cosa si muove o si sta muovendo a livello transnazionale. Purtroppo siamo sempre molto deluse da questi confronti con i partner europei perché ci troviamo sempre dinanzi all’ evidente immobilità del nostro paese sulla questione. Ma siamo comunque felici di partecipare a tali progetti perchè ci permettono di portare nelle sale dei nostri governi nuovi contenuti. Partecipiamo ad altri progetti inseriti in una rete europea che si chiama WAVE (Women against Violence Europe) e come Casa delle donne di  Bologna rappresentiamo il focal point, il centro di “smistamento” per l’Italia. Questa rete è infatti costituita da 3000 centri antiviolenza di tutta Europa e ogni paese sceglie il proprio punto di coordinamento e per l’ Italia siamo noi di Bologna. Lavoriamo molto con questa rete europea che non è governativa, ma  è una rete di associazioni femministe, ci confrontiamo con loro, promuoviamo iniziative e con loro abbiamo collaborato a diversi Daphne.  Attualmente stiamo portando avanti un progetto Daphne con il comune di Bologna. Stavolta  il comune è il capofila e sta  lavorando sulla questione degli uomini maltrattanti cioè coloro che usano la violenza e l’obiettivo sarebbe quello di trovare un sistema per far cambiare la mentalità di questi uomini, si chiama MOVIE ed è una cosa abbastanza nuova ed è finanziata dall’ Unione Europea.
 
Mi sembra di capire che siete molto soddisfatte per quello che si sta facendo a livello comunitario sulla questione delle donne? Niente da obiettare?
Quello che ho da criticare ai Daphne è che a vincere il progetto non sono sempre associazioni femministe  che si occupano specificatamente delle questioni di donne. Capita spesso che a vincere un progetto siano enti istituzionali vari o associazioni che sanno poco o nulla di violenza e questo rischia di snaturalizzare le tematiche. Non hanno un approccio femminista e di genere e trattandosi di questioni molto delicate e controverse un approccio sbagliato può risultare fallimentare per il successo del progetto. Quindi, a mio parere, i progetti Daphne dovrebbe fare capo ad enti e associazioni che possiedono già un curriculum con i requisiti necessari a fronteggiare questioni legate alla violenza sulle donne ma anche sui bambini. Per noi la politica europea e nello specifico i progetti Daphne rappresentano un sostegno fondamentale, ma dovrebbe essere indirizzata a valorizzare le competenze di chi già lavora su questa tematica.
 
L’associazionismo, il terzo settore, la sussidiarietà per combattere il problema della violenza quanto sono determinanti?
Noi siamo parte della società civile e vogliamo stare li. Siamo stakeholders, come dicono gli economisti, siamo attenti alla questione della violenza e ci affianchiamo agli enti pubblici, con questi ultimi interloquiamo nel tentativo di realizzare e promuovere politiche che a noi, in quanto donne, sono dirette. Le macchine istituzionali sono infernali e i passaggi burocratici lentissimi rendono di difficile realizzazione ogni iniziativa, triplicando i tempi per la loro realizzazione. In  quanto rete di associazioni riusciamo a coordinarci meglio e grazie alla natura della nostra istituzione siamo in grado di dare attuazione a molte iniziative senza troppi intoppi burocratici. Decidi una cosa la fai. E così è stato anche per la manifestazione nazionale del 24 novembre a Roma. Abbiamo deciso e realizzato tutto nel giro di un mese. Quello che è fondamentale è il dialogo con le istituzioni. Noi al nostro posto, loro nelle aule di parlamento e tanto dialogo nella coordinazione degli interventi effettivi.

Valentina Lanci, partecipante al laboratorio formativo di giornalismo civico del corso di Laurea Specialistica in Scienze della Comunicazione Pubblica Sociale e Politica dell'Università di Bologna a.a. 2007-2008

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22 febbraio 2008