Premessa
La violenza alle donne, in qualunque forma si presenti, ma in particolare quando si tratta di violenza intrafamiliare, è uno dei fenomeni sociali più nascosti. Considerato dal punto di vista criminologico, esso rappresenta uno dei fenomeni rispetto ai quali la cosiddetta cifra oscura della criminalità raggiunge il livello più alto. Le difficoltà che le donne incontrano a denunciare alla pubblica autorità gli episodi di violenza di cui sono vittime rendono infatti il numero delle denunce del tutto irrisorio rispetto all’effettiva incidenza di tali episodi nella vita quotidiana della popolazione femminile. Ciò che le statistiche giudiziarie riflettono quindi, non è tanto la dimensione reale di un problema, quanto la propensione alla denuncia delle donne che subiscono violenza e la disponibilità della polizia in prima istanza, dell’autorità giudiziaria successivamente, a considerare seriamente tali atti.
Le stesse indagini vittimologiche condotte in molti paesi a livello nazionale ormai da diversi anni, si sono dimostrate uno strumento inadeguato a rilevare l’entità del fenomeno della violenza alle donne, così come codificato dalla legge penale. Ricerche specifiche, condotte con accorgimenti metodologici studiati appositamente per facilitare le dichiarazioni delle donne e quindi dirette esclusivamente a rilevare il fenomeno della violenza, hanno evidenziato scarti percentuali, rispetto ai risultati delle indagini vittimologiche nazionali, di notevole rilievo.
La mancanza di indagini conoscitive adeguate realizzate su campioni rappresentativi di popolazione – che pure presentano dei limiti – rende per noi particolarmente significativi i dati e le rappresentazioni dei soggetti deputati ad intervenire a vario titolo sul problema della violenza alle donne, in particolare: Case e Centri antiviolenza, servizi sociali e sanitari, (in particolare: i centri per le famiglie, i pronto soccorso, i medici di famiglia), associazioni di volontariato, polizia e carabinieri, preture, tribunali e avvocate/i. Fra tutti questi, le Case e i Centri antiviolenza, in quanto luoghi autonomamente gestiti dalle donne che nominano esplicitamente il problema della violenza e offrono una forma specifica di aiuto, assumono una fisionomia e un rilievo del tutto peculiare.
La rilevanza della presenza e del ruolo delle Case e dei Centri antiviolenza si configura anche sul versante epistemologico e scientifico, ovvero rispetto alle diverse ottiche di lettura e di classificazione e alle diverse modalità di leggere e di ricostruire la realtà, in particolare rispetto ai criteri classici della criminologia e delle statistiche giudiziarie.
Le Case e i Centri antiviolenza – in quanto luoghi che fondano il loro lavoro sulla relazione con la donna accolta e che privilegiano le sue percezioni e il suo punto di vista, senza partire da definizioni precostituite della violenza e dell’intervento – sono osservatori privilegiati sul piano della stima dell’entità e dello spessore qualitativo delle violenze, com’è altresì confermato dalle microindagini esperite nel nostro paese nel corso degli ultimi anni. L’esperienza delle Case e dei Centri antiviolenza in Italia e all’estero, dopo anni di lavoro e di contatto diretto con le donne, insieme all’attività di studiose vicine al movimento femminista, ha messo in luce la centralità di una lettura di genere ai fini della comprensione del fenomeno della violenza alle donne e la necessità di mettere in campo una competenza specifica sia nello sviluppo della ricerca che nell’intervento concreto.
La possibilità di sviluppare ambiti di ricerca che mettano in luce il tipo di risposta o la mancanza di risposte istituzionali al problema della violenza alle donne, rappresenta un contributo importante nella direzione del cambiamento. Troppo spesso infatti le donne vengono considerate responsabili e/o complici della violenza che subiscono dentro e fuori la famiglia, senza che vengano considerate le difficoltà enormi a cui esse vanno incontro quando cercano di proteggersi e far cessare il comportamento violento.
La ricerca
L’indagine è stata svolta nel 1997 e nel 2000 e ha raccolto in modo omogeneo i dati delle donne che si sono rivolte in quegli anni ai centri dell’Emilia Romagna, ha promosso piste di indagini per lo studio delle istituzioni che vengono in diretto contatto con le donne che subiscono violenza, e infine ha indagato sulla qualità dei percorsi delle donne che si rivolgono ai Centri Antiviolenza.
La ricerca, finanziata dall’Assessorato Servizi Sociali della Regione Emilia-Romagna, è stata realizzata dalla Casa delle donne per nono subire violenza e dal gruppo di lavoro costituito dalle referenti di tutte le Associazioni di donne dell’Emilia Romagna che operano esclusivamente o prevalentemente sul tema della violenza alle donne. In totale sono stati raccolti i dati di 1999 donne nell’anno 1997 provenienti da 13 Centri dell’Emilia Romangna.
Tale associazioni hanno diverse caratteristiche a seconda del tipo di intervento realizzato: linea telefonica, centro di accoglienza, struttura residenziale, centro di consulenza legale, con una capacità di accoglienza che varia dalle 10 alle 500 donne in un anno. Hanno collaborato alla ricerca consulenti scientifici come Carmine Ventimiglia, docente di Sociologia della Famiglia presso l’Università di Parma, e per la parte del 2000, Patrizia Romito, psicologa dell’Universita di Trieste.
L’attività di rilevamento ha raccolto i dati relativi alle donne accolte durante l’anno 1997 e il 2000 e ha prodotto una pubblicazione. La ricerca del 1997 è consultabile presso il Centro di documentazione sulla violenza alle donne della Casa delle donne per non subire violenza di Bologna.
Rilevamento regionale anno 2005
I dati delle Case delle Donne e dei Centri Antiviolenza in Emilia-Romagna e i dati di altri soggetti pubblici e privati che hanno contatto con donne che subiscono violenza