I fatti del 2000

Il rapporto di collaborazione con le istituzioni cittadine ha permesso alla Casa delle donne di crescere non solo professionalmente, e di diventare negli anni ‘90 un punto di riferimento per tutti gli altri centri antiviolenza sorti sul territorio italiano, nonché per numerosi gruppi stranieri. In particolare vanno ricordate le formazioni fornite ai centri di Firenze, Prato, Udine, Ravenna, Bolzano e gli scambi formativi sul campo con le donne algerine, albanesi e kossovare.


Quando a giugno del 1999 il Comune di Bologna passò all'amministrazione di centro-destra venne meno la certezza di avere un sostegno istituzionale, anche perché la campagna elettorale aveva visto in prima fila Alleanza Nazionale attaccare gli spazi delle donne e in particolare la Casa delle donne. L'attacco era in parte strumentale, poiché la candidata dello schieramento di sinistra per la poltrona di sindaco era una donna, Silvia Bartolini, che 10 anni prima, il 12.07.1990, da assessore alle Politiche Sociali aveva stipulato la prima convenzione con la Casa delle donne.

Questo tentativo venne messo in pratica un anno dopo, quando arrivò a scadenza anche l'ultima convenzione. Già prima della sua scadenza, il Comune aveva deciso che le competenze in materia di azioni di contrasto alla violenza contro le donne dovessero passare dall'Assessorato alle Politiche Sociali a quello della Sicurezza. L'assessorato alla Sicurezza in quel periodo era retto da un ex poliziotto – poi estromesso dalla Giunta – che faceva parte di Alleanza Nazionale. Da un punto di vista politico, era chiaro quindi che la giunta intendeva considerare la "sicurezza" delle donne in termini meramente criminologici.

L'Assessore Giovanni Preziosa passò dunque alla fase realizzativa delle promesse elettorali. Negò la possibilità di un rinnovo della convenzione ma, vista la mobilitazione cittadina e nazionale a sostegno della Casa delle donne – in due mesi furono raccolte 13.000 firme di solidarietà, fu organizzata una manifestazione in Piazza Maggiore e furono espressi molti appelli di sostegno alla Casa delle donne da varie realtà politiche – ai primi di luglio del 2000 indisse una gara a licitazione privata per la gestione del centro antiviolenza.


foto di Mariella Lo Manto

 

A questa gara furono invitate a partecipare 7 associazioni dell'area cattolica e laica, la "Casa delle donne per non subire violenza" e una nuova associazione denominata "Erendira", sconosciuta a tutti. Il bando per la gara scadeva il 28 luglio e, per come era formulato, poneva forti vincoli nella gestione delle attività: per esempio, le donne non potevano essere ospitate nelle case rifugio per più di 45 giorni, agli stipendi per tutto il personale non potevano essere destinati più di 2.000.000 € complessivi al mese, le donne che usufruivano del servizio dovevano poter essere identificate anagraficamente, ecc. Inoltre, nel bando non si faceva alcun cenno a titoli legati all'esperienza e professionalità accumulata dall’ente che doveva gestire il Centro.

Nel frattempo sulla stampa bolognese , nel Consiglio comunale e nell'opinione pubblica, durante i mesi estivi nacque un grosso dibattito su queste vicende, che portò in autunno all'allontanamento dell' assessore Preziosa. Tutte le altre associazioni si rifiutarono di partecipare alla gara, ritenendo di non avere sufficiente competenze in materia di violenza contro le donne e riconoscendo professionalmente l'attività della Casa delle donne. Le due uniche associazioni partecipanti furono quindi Erendira e la Casa delle donne, che scelse di partecipare nonostante i vincoli citati proponendo, all'interno del progetto presentato alla gara, alcuni escamotage per salvaguardare l'anonimato per le donne e un periodo di permanenza all'interno dei rifugi più lungo.

Intanto emergeva sempre più chiaramente il profilo dell'altra associazione in lizza. “Erendira” era legata a doppio filo all'associazione Padri Separati, tanto che molti dei suoi membri facevano parte anche di quest'ultima – in particolare la sua consulente legale era una delle legali dei Padri Separati ­ e godeva dell'appoggio politico della componente di destra della giunta comunale. Nessuno ne aveva mai sentito parlare tra i gruppi del privato sociale che operavano a sostegno dei soggetti in disagio, eppure a questa associazione venne assegnato il servizio. Questo suscitò numerose proteste da parte di tutte le associazioni femminili cittadine.

Alla fine del mese di agosto 2000 la Casa delle donne dovette dunque lasciare la sua storica sede di via de' Poeti 4 e traslocare in un appartamento con contratto di affitto privato, situato in vicolo Borchetta 10, in precedenza affittato per essere usato come casa-rifugio. Nonostante i disagi, il servizio di accolgienza alle donne non fu mai interrotto e continuò nella nuova sede con lo stesso ritmo dei mesi precedenti.

Per garantire continuità al servizio, l'associazione avviò una campagna di raccolta fondi da privati e presentando nuovi progetti alle amministrazioni locali (Provincia di Bologna, Regione Emilia-Romagna, altri comuni della provincia di Bologna) e trasformandosi in ONLUS con il nuovo nome di "Casa delle donne per non subire violenza", che dall’ora coincide con il nome del servizio offerto.

Uno di questi progetti venne approvato dalla Regione Emilia-Romagna e assicurava il finanziamento del servizio per un anno, dal giugno 2001 fino a giugno 2002. Questo progetto vide l'interessamento di 25 Comuni dell'area bolognese che si impegnarono a sostenere il 30% dei costi, mentre la Regione intervenne per la parte restante.

La Provincia di Bologna ha poi concesso in affitto agevolato un altro appartamento per l'ospitalità di emergenza, che quindi tornò ad essere di 10 posti letto complessivamente.

L'associazione "Casa delle donne per non subire violenza" intese comunque continuare il dialogo con l'amministrazione comunale di Bologna. Il nuovo Assessore alla Sicurezza Gianni Monduzzi assicurò pubblicamente di non avere pregiudiziali politiche di sorta. Sta di fatto che il servizio di supporto alle donne che subiscono violenza – che doveva competere al Comune di Bologna – venne garantito solo dall'area bolognese, mentre il Comune di Bologna continuò a finanziare l'associazione “Erendira” la cui avvocata Rita Rossi difese in giudizio un uomo accusato di aver sottratto e tenuto in un luogo nascosto la propria figlia che era stata affidata dal giudice alla madre. 

 

Documenti in allegato: 

Sentenza del TAR – Emilia Romagna 13 giugno 2003

Dalle Pagine di DW Press
Lettera inviata al Carlino 11.08.2000 da Lalla Golfarelli
Dichiarazione della Consigliera Comunale Silvia Bartolini 27.03.2000

Dal Consiglio comunale di Firenze 19.06.2001